non so davvero come iniziare questa lettera che sento il dovere di scriverti. Il problema è che mi piacerebbe trasmetterti la certezza della nostra lotta, l'orgoglio delle nostre bandiere, rassicurarti sulla vittoria, condividere con te la serenità del futuro. Mi piacerebbe. In realtà mi accontenterei di limitarmi alla cronaca dei passi del nostro cammino verso la verità e la giustizia sul tuo omicidio, e sulla mattanza che trasformò Genova in una città dolente e martoriata, e di darti buone notizie sulle migliaia che subirono la violenza dei pretoriani o che inalarono i loro gas. Mi accontenterei ma non posso. La verità può essere una realtà dolorosa ma non me la sento di mentirti. Ti devo troppo per osare solo pensarlo. Potrei raccontarti che, alla fine, hanno dovuto riconoscere che i prigionieri di Bolzaneto vennero torturati ma gli sbirri non sono cambiati. Noi ci riempiamo la bocca di parole come riforma e democrazia ma i ragazzi talvolta muoiono per le botte di donne e uomini in divisa. Aldrovandi, Cucchi... «Tutto a posto, Carlo caro, in piazza non picchiano più...» Be', non è vero. Studenti, operai, precari, popolazioni in rivolta per impedire che le loro terre diventino discariche, migranti rinchiusi in galere travestite... la lista è lunga e le manganellate non si negano a nessuno. Che ti hanno ammazzato altre cento volte lo sai già. Menzogne come proiettili, sentenze che travolgono la verità con la potenza di un fuoristrada. Si sono scomodati in tanti a infangarti, a opporre la scienza all'evidenza. Non ti possono cancellare dalla memoria di questo Paese ma sono convinti di modificarla, di addomesticarla. Si sbagliano, ma che fatica! Dieci anni a rintuzzare parola per parola. Chi ti ha assassinato è una figura tragica. Una delle tante usa e getta di questa società che divora tutto e tutti. Ma quello che oggi faccio fatica a raccontarti è che i pretoriani e i loro capi hanno fatto carriera. Che le foto che li ritraggono vittoriosi, nelle loro buffe divise da guerrieri dei fumetti, resteranno appese alle pareti dei luoghi infami dove la memoria è solo vergogna. Il fatto è che i politici che tramarono, ordinarono e depistarono sono sempre gli stessi e che l'uomo forte del governo, che agiva da generale dalla caserma dei carabinieri, oggi è diventato un indispensabile difensore della democrazia. Uno statista. No, Carlo caro, non sto scherzando. Siamo stati traditi da tutti coloro che hanno finto sdegno ma si sono ben guardati dall'imporre la commissione d'inchiesta su quanto accadde a Genova in quei giorni di luglio. Hanno preferito continuare a recitare nell'osceno spettacolo che è la politica in questa Italia. Davvero non so come spiegarti che, dopo la tua uccisione, il Paese non è migliorato ma sta precipitando nel baratro. Che sono aumentate le morti sul lavoro, che il mare di fronte alle nostre coste è diventato un cimitero di disperati, che stanno ammazzando il futuro di tanti giovani come te. Scusa se fingo di non saperti morto ma tu sei Carlo Giuliani ragazzo e ho bisogno di ricordarti così per non sentire il peso della sconfitta. E della vergogna. A dieci anni dal tuo omicidio è cocente, Carlo. Lo sai, ci siamo battuti e ci batteremo. La montagna di menzogne con cui pensano di anestetizzare la ferita sempre aperta di quei giorni non serve a nulla, il sangue continua a colare dai bordi e a raccontare che ben altro accadde. Ma come faccio a raccontarti che siamo pochi, che i più non sanno o hanno dimenticato o hanno creduto alle falsità, e che per il potere e per l'opposizione, almeno quella che siede sui banchi di legno lucido e si fregia di titoli, il discorso è chiuso. Come posso procurarti un dolore simile che poi è il nostro, di tutti coloro che non hanno mai smesso, e mai lo faranno, di gridare il tuo nome con fierezza per ricordare che il tuo bisogno di giustizia è il nostro perché quello che è accaduto a Genova non si ripeta più? Come posso raccontarti che facciamo fatica anche a difendere la Resistenza e che chi ci governa non la riconosce più come valore? Pensa che nella mia terra l'assessore regionale all'istruzione partecipa commossa alle commemorazioni dei caduti della repubblica sociale. Pensa che oggi le mafie sono più potenti di ieri e l'intreccio con la politica, la finanza e gli affari è diventato sistema. Come posso raccontarti che siamo divisi come mai lo siamo stati? Che ci ritroviamo a difendere la tua memoria in un Paese che non riconosciamo più? Che è diventato più brutto, per certi versi insopportabile. Arrivo dall'Argentina dove ho imparato dalle madri e dalle nonne di Plaza de Mayo che l'unica lotta che si perde è quella che si abbandona. A trent'anni dalla fine della dittatura sono ancora un incubo per gli assassini dei loro figli. E questa è l'unica strada che possiamo percorrere per difendere la tua e la nostra dignità. E lo faremo. Questo te lo posso promettere. Mi vengono in mente mille frasi ebbre di certezza della vittoria o di rabbia per chiudere queste poche righe ma mi sentirei ridicolo. Preferisco ricordare una canzone che, parlando di altri ragazzi ammazzati per strada, dice che sono morti sui vent'anni per il nostro domani. È quello che è accaduto anche a te. Con l'affetto di questi dieci anni.
Il nostro Collettivo prende nome dai due fratelli Pellegrini, Florindo e Renato, appartenenti alla 53^ Brigata Garibaldi, catturati dai fascisti il 19 novembre 1944 e fucilati a Costa Volpino il 23 novembre. Falce e Martello, questi i loro nomi di battaglia avevano meno di vent'anni. Insieme hanno lottato per la libertà, insieme sono morti.
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