1) CON I QUESITI REFERENDARI ABBIAMO
GIA’ OTTENUTO RISULTATI IMPORTANTI, ADESSO FACCIAMO UN ALTRO PASSO
L’esecutivo del governo Renzi per mesi
ha fatto di tutto (a livello lecito e sottobanco, mettendo in campo un mix di
strumenti normativi e di ricatti basati su logiche di scambio) per evitare ad
ogni costo che si potesse giungere a questo importante appuntamento
referendario. La determinazione con cui l’attuale compagine governativa, in
maniera a volte subdola e/o sfacciatamente vergognosa, ha finora perseguito la
finalità di ostacolare l’idea stessa che milioni di italiani potessero dire la
loro in materia di perforazioni per la prospezione, ricerca, coltivazione di
idrocarburi, ha infatti aspetti davvero grotteschi, come il ricorso alla Legge
di Stabilità per eludere principi e prassi decisorie che fino a poco tempo fa
sembravano inderogabili pilastri del cosiddetto “Sblocca Italia”.
E’ il caso della scomparsa “per magia”,
tramite semplice emendamento, dei principi di “strategicità, indifferibilità,
urgenza, pubblica utilità”, che rappresentavano l’anima stessa del decreto
legge “Sblocca Italia” (poi Legge n 164/2014).
E’ il caso della titolarità
all’esproprio già prima dell’esito delle attività di prospezione e ricerca,
così come della facoltà di assoggettare quote considerevoli di territorio per
costruire infrastrutture funzionali agli impianti ed alle attività di
trasformazione e trasporto degli idrocarburi al di fuori delle aree di
concessione.
E’ altresì il caso dell’abolizione del
diritto di decisione da parte dello stesso presidente del consiglio, al termine
di tempi ristretti e di un iter che esclude l’intesa “in senso forte” tra Stato
ed Enti locali in sede di Conferenza dei Servizi. Lo stesso Piano delle Aree
(dove le Companies potrebbero avanzare richieste o meno) è stato semplicemente
cancellato, così lasciando alle multinazionali la facoltà non solo di
continuare ad avanzare richieste di permessi e concessioni in modo selvaggio e
senza criteri condivisi da Enti locali e territori, ma addirittura concedendo
loro la facoltà di avvalersi di un doppio regime legislativo per l’ottenimento
dei titoli.
Insomma, di 6 quesiti referendari
ammessi il Novembre scorso dalla Corte di Cassazione, la Corte Costituzionale
ne ha salvato solo uno, a seguito appunto degli emendamenti in Legge di
Stabilità, che pur assorbendo 3 dei quesiti proposti, ne lasciava elusi altri
due, attualmente impugnati per “conflitto di attribuzione” da sei delle 10
Regioni che avevano depositato i quesiti a Settembre. Ad oggi si attende il
provvedimento di ammissibilità il prossimo 9 Marzo.
2) LE CONDIZIONI PER DARE UNA SPINTA
CONTRO IL FOSSILE SONO FAVOREVOLI
Chi da anni avverte il peso sulla
propria vita, sulla propria pelle, nel condizionamento delle scelte economiche,
in quanto vive e lavora a ridosso di centri oli, raffinerie, hub portuali,
pozzi petroliferi, centri e/o pozzi di stoccaggio di petrolio e di gas; quanti
vivono con sotto i piedi oleodotti e gasdotti; quanti bevono e coltivano la
terra con acque provenienti da falde inquinate da centinaia di sostanze
chimiche, da metalli pesanti, da idrocarburi; i pescatori, i lavoratori del
settore turistico/alberghiero, oggi non si chiedono SE appoggiare questo
referendum, ma COME continuare ad accumulare forza sociale e politica per voltare
pagina, per chiudere con leucemie, tumori, avvelenamento di acqua, aria, suolo,
cibo, per andare finalmente oltre il modello energetico fondato sulle fossili.
La combinazione, negli ultimi mesi,
della campagna planetaria di pressione dal basso verso i lavori della
conferenza internazionale sul clima a Parigi (COP 21), con la forte
sensibilizzazione provocata dalla lettera enciclica di Papa Francesco “Laudato
sì”, ha fatto da detonatore per le lotte territoriali contro le grandi opere,
in un contesto internazionale di accelerazione dell’iniziativa bellica, di
forte e veloce cambiamento degli assetti geopolitici, mentre resta perdurante
la tendenza al ribasso storico del costo unitario di produzione del barile.
3) IL VOTO DEL 17 APRILE FAVORISCE UNA
GRANDE COALIZIONE SOCIALE PER ATTUARE LA TRANSIZIONE ENERGETICA FONDATA SULLE
RINNOVABILI PULITE
Il voto del 17 Aprile è un voto
immediatamente politico, in quanto, al di là della specificità del quesito,
residuo di trabocchetti e scossoni, esso è l’UNICO STRUMENTO di cui i movimenti
che lottano da anni per i beni comuni e per l’affermazione di maggiori diritti
possono al momento disporre per dire la propria sulla Strategia Energetica
nazionale che da Monti a Renzi resta l’emblema dell’offesa ai territori, alle
loro prerogative, alla stessa Costituzione italiana.
Lo sanno bene le centinaia di comitati e
di associazioni, i comitati che lottano contro le piattaforme a mare, così come
contro la Tap, contro le centinaia di chilometri di tubi delle reti di gas su faglie
sismiche, contro centrali e pozzi di stoccaggio che provocano sismicità indotta
per decreto ministeriale, contro le raffinerie che emettono sostanze nocive,
contro i depositi di stoccaggio a rischio di incidente rilevante e di
inquinamento della falda; lo sanno i produttori ortofrutticoli, gli allevatori,
così come le reti per l’opzione Combustione Zero Rifiuti Zero. Se alle
centinaia di associazioni a carattere nazionale si sono aggiunti i comitati No
Tav della Val di Susa, così come il Forum nazionale per l’Acqua Pubblica, la
Confederazione Cobas, la Fiom, non è certo in virtù di una squallida operazione
di sommatoria aritmetica delle piccole convenienze locali.
Di certo chi conosce gli equilibri
sociali, politici, culturali, economici, di chi gestisce (tra l’altro senza
mandato elettorale!) le sorti di circa 60 milioni di italiani, sa bene che il
referendum “questo referendum”, rappresenta la porta stretta attraverso cui
solo uno potrà passare: o vinceranno la furbizia ed il gioco sporco che il governo
Renzi sta conducendo con estrema arroganza e sicumera in nome della TTIP, delle
lobbies inceneritorie, finanziarie, delle multinazionali, o vinceranno le
ragioni di chi chiede diritti, dignità, rispetto dei territori e della salute,
affermazione del valore d’uso attraverso esercizio diffuso, decentrato e
diretto, dal basso, di più democrazia. Non abbiamo scelto noi il quesito su cui
far convergere, in questa delicata fase di transizione autoritaria e
centralizzatrice dei poteri, l’intelligenza e la potenza delle reti del
conflitto e della proposta per quello che fino a pochi anni or sono si definiva
comunemente “un altro mondo è possibile!”.
Abbiamo comunque uno strumento di
convergenza comune, una tabella che indica con chiarezza il percorso
praticabile. Sappiamo bene che ci attende un percorso duro ed irto di ostacoli,
ma dobbiamo essere fieri di quanto siamo riusciti a fare finora; ancor più di
quanto stiamo facendo, senza smettere di essere ambiziosi! Portare al voto 26
milioni di italiane/i (tanti ne occorrono per il quorum!), sapendo tra l’altro
che i sondaggi danno il Sì al 40% (nemmeno per lo scorso referendum su Acqua
Pubblica e Nucleare a Febbraio davano tanto!), vuol dire sintonizzarsi
fraternamente, solidarizzare, crescere concentrandosi sull’obiettivo. Vuol dire
mettere a disposizione non un freddo dispositivo di propaganda, ma attivare un
sentire comune, attivare saperi e progettualità essenziali per la sfida della
transizione.
La transizione alle rinnovabili pulite
non può essere una delega in bianco alla miglior convenienza delle lobbies
energetiche. E’ anzitutto controllo consapevole esercitato dal basso in
condizioni di condivisione e di formazione/autoformazione costante; è
espropriazione del monopolio alienato della scienza e pratica della
soddisfazione a misura di bisogni collettivi individuati.
4) LA SPINTA REFERENDARIA COSTRINGE
MOLTE COMPAGNIE A RINUNCIARE
Soltanto fino a poche settimane fa
sarebbe stato azzardare immaginare che, dopo la pioggia di richieste di
permessi, alcune compagnie potessero abbandonare il campo. La spinta
referendaria, letta come recepimento formale di una pressione materiale
costante e crescente dovuta ai crescenti cicli di lotta sviluppatisi
nell’intero paese, in terra ed in mare, ha creato, contrariamente ai servili
desiderata dell’esecutivo centrale, un quadro di forte incertezza normativa.
Adesso è un fatto che il governo ha dovuto emanare un apposito decreto di
azzeramento per il permesso in Adriatico “Ombrina mare due” della Rockhopper,
una delle più discusse e controverse concessioni a mare, che nonostante
ripetute mobilitazioni di massa, ricorsi, leggi regionali, sembrava
ineluttabilmente in fase di avvio operativo.
Stessa sorte per l’odiato permesso
chiesto dalla compagnia Petroceltic di fronte alle isole Tremiti; per un
permesso della Appennine Energy nello Jonio, dove inoltre, in questi giorni, la
Shell abbandona i giacimenti nel golfo di Taranto, inviando al Ministero dello
Sviluppo Economico la lettera con cui rinuncia al permesso di cercare il petrolio
nel mare fra Puglia, Basilicata e Calabria, con le istanze riguardanti i due
permessi di ricerca d7482fr-sh e d7482fr-sh.
5) I TERRITORI CONTINUANO A CONTARE
In pochi mesi il processo messo in atto
dalla strategia referendaria ha consentito di ottenere un vero e proprio
capovolgimento dell’impianto centralizzatore e decisionista del famigerato
“Sblocca Italia”. Un primo banco di prova riguarda il recupero delle competenze
regionali nelle procedure di Via per il progetto di movimentazione e stoccaggio
di petrolio e di gas a Taranto, in Puglia, provenienti dal nuovo Centro Oli di
“Tempa Rossa”, in Basilicata, e destinati alla raffinazione off shore.
La giunta regionale pugliese torna,
grazie all’assorbimento dei quesiti referendari negli emendamenti alla Legge di
Stabilità, ad avvalersi di poteri e competenze, mentre i cittadini ed i
movimenti dispongono nuovamente di un importante interlocutore istituzionale,
che nel peggiore dei casi potrà essere destinatario di azioni di conflitto e di
pressione. Come ai tempi delle mobilitazioni per sollecitare le amministrazioni
comunali a deliberare per chiedere ai rispettivi presidenti di giunta regionale
l’impugnazione dell’art. 38 dello Sblocca Italia, il referendum agisce da
esplicito catalizzatore motivazionale all’azione deliberante di giunte e
consigli comunali contro numerose richieste di permessi, come sta accadendo in
diversi comuni campani e lucani in questi giorni, dove sono i sindaci a
convocare esponenti di comitati No Triv e movimenti a loro sostegno.
6) RENZI TEME LA DEBACLE PER LE “SUE”
RIFORME ISTITUZIONALI
Abbiamo poco tempo per riuscire ad
incidere in modo adeguato ed efficace. Il Governo, obbligato a stabilire una
data per la celebrazione del referendum No Triv, non a caso sceglie la prima
domenica utile per legge. Oltre a sacrificare senza batter ciglio l’equivalente
dell’ammontare annuale delle royalties (non meno di 350 milioni di Euro!), pur
di evitare l’election day, sta tentando di sabotare i tempi per il normale
dispiegamento di una campagna elettorale degna di questo nome. In realtà il
presidente del Consiglio non vuole che la strada per il referendum confermativo
istituzionale, stabilito ad Ottobre 2016, tra cui la revisione del Titolo V
della Costituzione (di cui lo Sblocca Italia è una sostanziale anticipazione),
possa in alcun modo essere ostacolato da altri fenomeni di grande
catalizzazione del dissenso.
Il referendum del 17 Aprile rappresenta
in realtà un potente momento di accumulo positivo di energie sociali, di
saperi, di creatività, di veloce incremento di relazioni operative tra reti
consolidate.
Lo stesso Renzi ha più volte dichiarato
che in caso di sconfitta del “suo” referendum istituzionale abbandonerebbe il
suo ruolo attuale e la stessa politica. Allora, diamo una mano al campione del
decisionismo neoliberista a lasciare campo libero ad una grande coalizione per
il bene comune! Il quadro è quindi complesso e dinamico. Gli elettori hanno
voglia e necessità, dopo anni di lotte, di potersi esprimere non solo nel
merito dei quesiti ammessi, ma dell’intera Strategia Energetica Nazionale.
Raggiungere il quorum in tempi così brevi e sapendo coinvolgere vittoriosamente
26 milioni di cittadine/ italiane/i, significherebbe saper guidare dal basso un
intero processo di trasformazione sociale e politica di un paese ammuffito ed
intristito da una crisi asfittica, con effetti trascinanti anche per le lotte
di altri paesi europei.
COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV
COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV
Tutto il meridione è mobilitato!
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